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30 aprile 2022 - sabato della II settimana del tempo di Pasqua - Solennità di San G.B. COTTOLENGO

A Chieri presso Torino, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, sacerdote, che, confidando nel solo aiuto della divina Provvidenza, aprì una casa in cui si adoperò nell’accoglienza di poveri, infermi ed emarginati di ogni genere.


Nella sola Divina Provvidenza confidar deve l’uomo, sicuro che questa nel governo universale del mondo non manca, né mancherà mai; in questa si deve sperare, su di questa come su di sodo e immobile fondamento si deve poggiare, a questa pienamente affidarsi, e su di essa gettare ogni pensiero, desiderio e speranza, giusta l’importante avviso che ce ne dà il profeta: Getta nel Signore il tuo affanno (Sal 54,23).

Dai discorsi di san Giuseppe Benedetto Cottolengo




Dal Vangelo secondo Matteo - 25, 31-40

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?  

Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.

Parola del Signore.


Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato?

Oggi, 30 aprile, è grande festa per la famiglia cottolenghina, di cui fa parte la nostra comunità contemplativa. Infatti, 180 anni fa, passò all’abbraccio eterno del Padre il nostro Fondatore, San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Il Vangelo scelto per la Messa propria (Mt 25,31-40) gli calza a pennello: conosciuto come padre dei poveri, il Cottolengo in loro sfamò il Cristo affamato, diede da bere al Cristo assetato, accolse il Cristo straniero, vestì il Cristo nudo, visitò il Cristo ammalato e andò a trovare il Cristo carcerato. Tutto questo lo fece verso il corpo e verso l’anima di tutti quelli che bussavano alla sua porta. Lo fece di persona e lo fece (e lo fa anche oggi) attraverso i figli che il Signore da quasi 200 anni genera attraverso di lui (laici, sacerdoti, fratelli consacrati, suore di vita apostolica e di vita contemplativa…).

Il passo del Vangelo considerato, però, offre particolari luci a tutti. Vorrei soffermarmi su due:

1. Alla santità sono chiamati tutti, ma proprio tutti. E se dubitiamo di questo, forse è meglio ripassare quello che ci ha scritto Papa Francesco nella Gaudete et exsultate. Qualche esempio? Santa può essere una mamma che prepara una pastasciutta per dare da mangiare ai suoi figli. Santo può essere un bambino che cerca di non sprecare l’acqua, per dare da bere al mondo assetato. Santa può essere una famiglia che accoglie un’altra famiglia di rifugiati stranieri. Santo può essere l’operaio di un’industria tessile, che veste chi non conosce. Santi possono essere gli operatori sanitari, e tutti coloro che visitano l’uomo in tutte le sue infermità. Santi possono essere i membri della polizia penitenziaria, che vanno a trovare i carcerati. Tutto dipende da come si fa quel che si fa;

2. È vero, ma non tutti hanno certe possibilità, penserete. Per esempio, non tutti possono ospitare una famiglia di rifugiati in casa. Certo… Ma stranieri sono solo quelli di un’altra nazionalità? Se riflettiamo, scopriremo che non abbiamo scuse di fronte a questa Parola: ero straniero e mi avete accolto (Mt 25,35b). Straniero è una persona che parla un’altra lingua, che non riesco a comprendere secondo i miei schemi culturali, che non riesco a inquadrare. Un adolescente non è forse uno straniero per i suoi genitori? Siamo circondati da stranieri. Siamo pure noi stessi stranieri per gli altri e ai nostri stessi occhi, per giunta: non ci conosciamo del tutto. Come accogliamo chi non riusciamo a capire? Cerchiamo di ingabbiarlo nella nostra mentalità, lo rifiutiamo perché non parla la nostra lingua, oppure lo guardiamo così com’è? Lo accettiamo perfino nei suoi difetti e nei suoi sbagli? Nell’altro vogliamo vedere un’immagine ideale di noi stessi o Cristo bisognoso di compassione e cura?

San Giuseppe Benedetto Cottolengo, aiutaci a lasciar cadere tutte le scuse che ci impediscono di essere santi e intercedi per noi la grazia di occhi nuovi, che vedano Cristo in ogni persona. Deo gratias!

Maria Chiara

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