Gv 6, 51-58
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Parola di Dio
Riceviamo Cristo fatto pane per diventare pane per gli altri.
Meditando il Vangelo di questa domenica possiamo aprirci di più al mistero dell'Eucarestia, che è la fonte e il culmine della vita della Chiesa e pane di vita nuova per ciascuno di noi.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in Lui” (Gv 6,54). Nel ricevere l'Eucarestia, pensiamo a Maria, “donna eucaristica”, come affermava san Giovanni Paolo II. Ciò che accadde all'annuncio dell'angelo in Maria, anticipava in sé in qualche misura ciò che si realizza sacramentalmente in ogni credente che riceve il corpo e il sangue del Signore: accogliamo il Figlio di Dio, che viene a dimorare in noi con l'intero suo essere umano – divino. E' un'esperienza di grazia che ci rinnova, se vinciamo la nostra superficialità, l'abitudine, le distrazioni e se non disprezziamo l'amore di Cristo per noi perché incapaci di accoglierlo. Il Santo Cottolengo invitava le sue suore a ricevere con il cuore l'eucarestia di ogni giorno per “essere inebriati in modo da non sentire più freddo” nelle fatiche, nelle necessità, nelle prove.
“Chi mangia me vivrà per me” (Gv 6,56). Da Cartesio in poi il fondamento di tutto sembra essere l'”io”. La parola che diciamo di più è: “Io!”, viviamo in adorazione del nostro piccolo “Io”. Oscurando Dio, anche la nostra umanità resta oscurata, le viene tolta la certezza, il fondamento che è Dio. Affermando noi stessi pensiamo di crescere, ma il nostro cuore si svuota e diventa sempre più chiuso all'amore. Non è vero che “perdere è perdere”: chi non sa vivere un certo distacco si avvolge in mille dipendenze e schiavitù. Nell'adorare e nel ricevere l'Eucarestia mettiamo un fondamento diverso alla nostra vita: accogliamo Gesù, il Figlio che è vissuto per il Padre e per noi e riceviamo la capacità di vivere per gli altri, dimenticare noi stessi per essere al loro servizio, sperimentando che dando si riceve, facendo felici gli altri la gioia cresce in noi. Ci apriamo al mistero della nostra unione a tutto il corpo di Cristo nel mondo e nella chiesa. Riceviamo Cristo fatto pane per diventare a nostra volta pane per gli altri.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv 6,54). Mentre la nostra vita è segnata dalla morte, Dio ha la vita eterna, è la vita eterna. Solo aprendoci alla Sua presenza e alla Sua azione nella nostra sensibilità, nella nostra psicologia, in tutta la nostra vita, cominciamo anche noi a camminare sotto un “cielo aperto”. L'Eucarestia è il pegno della vita futura: come nella vita eterna saremo immersi in un'esperienza che ci trasformerà e supererà, così ora nell'accostarci al Sacramento dell'altare che è “mistero di fede”, ci abbandoniamo all'agire di Dio in noi. Non possiamo immaginare la felicità del Paradiso, ma possiamo fare nostre le parole del beato Carlo Acutis: “L'Eucarestia è la mia autostrada verso il cielo”.
Sr Maria Daniela
pubblicato sulla Gazzetta d'Asti
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