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Immagine del redattoreComunità Monastero Adoratrici

6 maggio 2022 - venerdì della III settimana del tempo di Pasqua

Gv 6, 52-59 Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.

Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Parola del Signore.

la mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda ...

Gesù è il pane di vita, vero nutrimento per l’uomo di ogni tempo che, con la forza spirituale di questo cibo, cammina, «cresce fino alla piena statura di Cristo» e può affrontare le prove e le sfide che la vita gli presenta. La fede ci insegna a vedere e a ricevere in quel pane, che viene consacrato sull’altare, il corpo di Cristo. Ma sappiamo che «noi siamo corpo di Cristo» (cfr. 1 Cor 12,27). «Se dunque siete voi il corpo di Cristo e le sue membra», dice Agostino in uno dei suoi Discorsi, «sulla mensa del Signore viene posto il vostro mistero: il vostro sacro mistero ricevete». Mangiando il pane, bevendo il vino, infatti, noi diveniamo uno, membra vive dell’unico corpo di Cristo, che è la Chiesa. In Lui diveniamo partecipi della sua stessa vita: «chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui»; con Lui e per Lui – grazie all’Eucarestia – cresce la nostra capacità di comunione e il nostro orientamento: «colui che mangia me vivrà per me». Poi sarà il quotidiano a dire la vita nuova ricevuta in dono: «da questo vi riconosceranno se avrete amore gli uni per gli altri, amatevi come io vi ho amati». Nella misura in cui matura in noi la consapevolezza del dono che riceviamo nel mistero che celebriamo, cresce la gratitudine. Infatti che senso avrebbe partecipare a questa mensa senza credere, desiderare e accorgersi che la nostra vita ne viene trasformata? Ma se il dono che riceviamo è senza misura – «senza misura Egli dona lo Spirito» – può avere limiti la nostra gratitudine?

Sr. Chiara

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