Con questa festa onoriamo e adoriamo il “Corpo del Signore”, spezzato e donato per la salvezza di tutti gli uomini, fatto cibo per sostenere la nostra “vita nello Spirito”. L’Eucaristia è la festa della fede, stimola e rafforza la fede. I nostri rapporti con Dio sono avvolti nel mistero: ci vuole un gran coraggio e una grande fede per dire: “Qui c’è il Signore!”.
San Romualdo, anacoreta e padre dei monaci Camaldolesi, che, originario di Ravenna, desideroso di abbracciare la vita e la disciplina eremitica, girò l’Italia per molti anni, costruendo piccoli monasteri e promovendo ovunque assiduamente tra i monaci la
vita evangelica, finché nel monastero di Val di Castro nelle Marche mise felicemente fine alle sue fatiche.
Spesso infatti la contemplazione di Dio lo rapiva in modo così intenso che, quasi tutto sciolto in lacrime e bruciando di un indicibile ardore d’amore di Dio, diceva a gran voce: «Caro Gesù, pace del mio cuore, desiderio ineffabile, dolcezza e soavità degli angeli e dei santi», ed altre espressioni consimili.
Dalla «Vita di san Romualdo» scritta da san Pier Damiani
Lc 9, 11-17 Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C'erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Parola del Signore.
Gesù è concreto
Oggi celebriamo la Solennità del Corpo e del Sangue del Signore, adorato in modo particolare nel Pane e del Vino consacrati. Il Vangelo, però, non ci parla dell’Ultima Cena, ma della moltiplicazione dei cinque pani e due pesci. Perchè? Riflettiamo su alcuni passaggi.
Primo: In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure (Lc 9,11). Il Signore guarisce ma, prima ancora, parla del regno di Dio, cioè della condizione per cui Dio può regnare nella nostra vita: quando è pervasa dal Suo Amore, cioè quando è donata, non più trattenuta egoisticamente. Le guarigioni che compie Gesù non avrebbero senso se non parlasse del regno di Dio: a che servirebbe guarire fisicamente se poi la vita interiore è una prigione di egoismo?
Secondo: Gesù disse loro: «Dategli voi stessi da mangiare» (Lc 9,13). Questo comando pare assurdo. Eppure, visto da un’altra prospettiva, è il più concreto. Gesù, infatti, prende a cuore i bisogni della gente, non vuole mandarla a casa digiuna (cfr. Mt 15,33). Non predica ideali dal pulpito per poi banalizzare le necessità primarie della persona. La stranezza sta piuttosto nella modalità: Lui che è Dio, che ha appena restituito la vista ai ciechi, il passo agli storpi, l’udito ai ciechi… chiede a noi, incapaci, di farci carico di questi bisogni.
Terzo: Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla (Lc 9,16). Ora capiamo che Gesù non pretende da noi i miracoli, perché solo Dio può compiere l’impossibile: a noi chiede di offrire quel poco che abbiamo e di aiutarlo a distribuire il Suo pane.
Questi tre passaggi sono gli stessi che stanno alla base della liturgia eucaristica. Infatti, nella Santa Messa ascoltiamo la Parola; poi offriamo il pane e il vino, frutto del nostro lavoro, all’altare, con tutto noi stessi, la nostra storia e le nostre miserie, nella fede che Dio ci trasformi; infine, Cristo, nella persona del sacerdote, consacra le nostre offerte per nutrirci. Più ancora: trasforma tutto nel Suo Corpo e nel Suo Sangue, per vivere in noi. Come potremmo, prigionieri di noi stessi, vivere la concretezza dell’Amore, se Lui non agisce in noi? Le specie eucaristiche sono la vera Presenza del Signore, ma ci ricordano anche che Gesù è concreto, come lo è stato nella moltiplicazione dei pani e dei pesci: non sceglie dei concetti per incontrarci, ma pane e vino. Noi non facciamo la comunione o l’adorazione per noi stessi, per sentirci bene, ma perché Dio chiede di agire in noi, chiede che siamo noi stessi a dare da mangiare al mondo non con le nostre parole, ma con la nostra miseria trasfigurata dal Suo Corpo e dal Suo Sangue durante la Santa Messa.
Ti ringraziamo, Gesù, perché ci dimostri concretamente che ci ami. Aiutaci ad accogliere il Tuo Corpo e il Tuo Sangue per esserne prolungamento per i fratelli e portare una concreta testimonianza al mondo affamato di pane e di senso. Amen.
Maria Chiara
pubblicato sulla Gazzetta d'Asti
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