Memoria di sant’Ignazio, vescovo e martire, che, discepolo di san Giovanni Apostolo, resse per secondo dopo san Pietro la Chiesa di Antiochia. Condannato alle fiere sotto l’imperatore Traiano, fu portato a Roma e qui coronato da un glorioso martirio: durante il viaggio, mentre sperimentava la ferocia delle guardie, simile a quella dei leopardi, scrisse sette lettere a Chiese diverse, nelle quali esortava i fratelli a servire Dio in comunione con i vescovi e a non impedire che egli fosse immolato come vittima
per Cristo.
Abbiate compassione di me, fratelli. Non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo.
Dalla «Lettera ai Romani» di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
Lc 12, 13-21
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Parola del Signore.

Gesù, mentre risponde a quell’uomo della folla, che gli chiede di fare da mediatore fra lui e suo fratello per l’eredità, dice anche a noi che «la vita non dipende da ciò che si possiede». Sappiamo che la vita quotidiana ha un prezzo reale e richiede tante cose ma oggi, mentre molti mancano del necessario, la nostra società consumista ci spinge a ritenere indispensabile ciò che, invece, è superfluo. Niente si potrà portare via quando la vita terrena avrà termine. Papa Francesco con un’immagine suggestiva ha ripetuto, più di una volta, che un morto non ha tasche.
Di fronte ai beni sono fondamentali la gratitudine, la disponibilità alla condivisione, l’impegno alla solidarietà con chi è più in difficoltà. Riflettendo su questo, Papa Francesco scrive in Fratelli tutti: «Solidarietà è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia» (Fratelli tutti, n 114). Questo atteggiamento coltivato nel quotidiano farà si che al termine della vita, non avremo rimpianti per ciò che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto.
Questo brano del Vangelo di Luca ci è affidato oggi nella memoria di sant’Ignazio di Antiochia, autentico discepolo del Signore Gesù. Egli, infatti, con la sua testimonianza ci insegna a vivere per Colui che è il nostro vero bene, il solo a cui non dobbiamo rinunciare. Anche a noi è chiesto di camminare sulle orme dell’Agnello, e ciascuno secondo la sua vocazione. Al termine della vita sia dato anche a noi di poter vivere l’esperienza che il vescovo Ignazio esprime così in una delle sue Lettere: «Un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: “Vieni al Padre!”» (Ai Romani 7,2).
Buon cammino!
Sr. Chiara
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