Memoria di santa Elisabetta di Ungheria, che, ancora fanciulla, fu data in sposa a Ludovico, conte di Turingia, al quale diede tre figli; rimasta vedova, dopo aver sostenuto con fortezza d’animo gravi tribolazioni, dedita già da tempo alla meditazione delle realtà celesti, si ritirò a Marburg in Germania in un ospedale da lei fondato, abbracciando la povertà e adoperandosi nella cura degli infermi e dei poveri fino all’ultimo respiro esalato all’età di venticinque anni.
Distribuiva con larghezza i doni della sua beneficenza non solo a coloro che ne facevano domanda presso il suo ospedale, ma in tutti i territori dipendenti da suo marito.
Dalla «Lettera» scritta da Corrado di Marburgo, direttore spirituale di santa Elisabetta
Lc 19, 11-28
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro.
Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d'oro, dicendo: "Fatele fruttare fino al mio ritorno". Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: "Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi". Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato.
Si presentò il primo e disse: "Signore, la tua moneta d'oro ne ha fruttate dieci". Gli disse: "Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città".
Poi si presentò il secondo e disse: "Signore, la tua moneta d'oro ne ha fruttate cinque". Anche a questo disse: "Tu pure sarai a capo di cinque città".
Venne poi anche un altro e disse: "Signore, ecco la tua moneta d'oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato". Gli rispose: "Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi". Disse poi ai presenti: "Toglietegli la moneta d'oro e datela a colui che ne ha dieci". Gli risposero: "Signore, ne ha già dieci!". "Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me"».
Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.
Parola del Signore.

Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato (Lc 19,20-21).
Perché uno dei servi, ricevuta la mina, la ripone in un fazzoletto? Non perché ne abbia meno degli altri. A dieci servi in tutto sono distribuite dieci mine, una per ciascuno. Piuttosto, è dalle sue stesse parole che ricaviamo la risposta: Avevo paura di te. Sant’Agostino afferma che si conosce solo ciò che si ama. Di conseguenza, si potrebbe dire: dal momento che non si ama ciò di cui si ha paura, allora si ha paura di ciò che non si conosce. Sembra complicato a parole. Ma un bambino che ha paura del buio non può amarlo, non può desiderare di entrare in una stanza a luci spente. Paura e amore si escludono a vicenda. E perché mai dovrebbe avere paura del buio? Perché non conosce ciò che le tenebre nascondono. Perciò, non penso sia errato dichiarare che quel servo non ha proprio capito niente del suo padrone, dal momento che pensa di conoscerlo, ma la sua paura tradisce la sua mancanza di conoscenza. Pensa di conoscerlo come uomo severo, che prende quello che non ha messo in deposito e miete quello che non ha seminato. Ha una visione superficiale e distorta di lui. E il padrone gli risponde: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! (Lc 19,22a). Non lo giudica perché è un tiranno, ma perché il servo, nella sua visione distorta, ha trovato la scusa per non impegnarsi e per incolpare il padrone stesso della propria negligenza. In parole povere, il servo si è giudicato da sé e il padrone prende atto della sua libera scelta.
La paura non è negativa in sé, perché è un mezzo per tenerci lontani dal male. Ma quando ci tiene lontani da Dio, allora chiediamoci se davvero Lo conosciamo o se, invece, non ne abbiamo assorbito un’immagine distorta. Per esempio, quando riponiamo la nostra mina, cioè la nostra vita, in un fazzoletto, come se fosse già morta, quando non vediamo gli altri come fratelli e sorelle e, per paura, ci tiriamo indietro, non ci doniamo, disprezziamo, allora forse non conosciamo Dio come Padre di Misericordia per tutti.
Dio è Mistero, ma non è una stanza buia in cui si nascondono i mostri. Dio vuole farsi conoscere e amare, perché è Amore. Se non si manifesta apertamente è perché ama troppo la nostra libertà, però ogni giorno semina nella vita di ciascuno degli indizi che ci avvicinino al Suo Volto. Chiediamo incessantemente allo Spirito Santo di illuminarci per sbarazzarci delle immagini distorte che ci siamo fatte di Dio e per riconoscere i suoi indizi. Non cessiamo di chiedere: “Signore, mostraci il tuo volto e saremo salvi!”.
Maria Chiara
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