San Giuseppe lavoratore, che, falegname di Nazareth, provvide con il suo lavoro alle necessità di Maria e Gesù e iniziò il Figlio di Dio al lavoro tra gli uomini. Perciò, nel giorno in cui in molte parti della terra si celebra la festa del lavoro, i lavoratori cristiani lo venerano come esempio e patrono.
Quando uomini e donne per procurare il sostentamento a sé e alla famiglia, esercitano il proprio lavoro così da servire la società, possono giustamente pensare che con la loro attività prolungano l'opera del Creatore, provvedono al benessere dei fratelli e concorrono con il personale contributo a compiere il disegno divino nella storia. I cristiani pensano che quanto gli uomini hanno prodotto con il loro ingegno e forza non si oppone alla potenza di Dio, né creatura razionale sia quasi rivale del Creatore. Sono persuasi che le vittorie del genere umano sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno.
Dalla Costituzione pastorale "Gaudium et spes" del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.
Gv 21, 1-19
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po' del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Parola del Signore. Lode a Te o Cristo.
Nel Vangelo di questa terza domenica di Pasqua, incontriamo gli apostoli che pescano invano sul mare di Tiberiade e il Risorto che “sta sull’altra riva”. Gli apostoli sono scoraggiati, in particolare Simon Pietro è segnato dalla desolazione e dal vuoto interiore, al punto di voler ritornare alla sua vita passata: “Io vado a pescare”. Simon Pietro ha dimenticato gli anni passati con Gesù, i miracoli cui ha assistito, la predicazione udita, l’amore che ha sperimentato insieme al mandato che ha ricevuto.
Simon Pietro ha pianto amaramente per aver rinnegato l’Amico. Lui, che è un testardo e che voleva dimostrare ad ogni costo le sue capacità, ora è in crisi.
Nella Passione, Gesù si è mostrato testimone fedele, coraggioso e tranquillo, Pietro invece si è spaventato e in preda alla paura ha rinnegato Gesù.
Gesù si è appoggiato al Padre e quindi ci è apparso forte nel suo atteggiamento di coraggio, di calma e di dedizione, Pietro si è appoggiato su se stesso ed è crollato per la propria presunzione e fragilità.
A questo punto che cosa succede? Quando già era l’alba, Gesù si fa presente e invita gli apostoli a una nuova pesca “miracolosa”, che ha in serbo per loro. In un primo momento, gli apostoli non lo riconoscono. Il Signore si fa vicino e prepara il pasto per loro, rifocillandoli come un’amorevole madre e chiamandoli: ”figlioli”.
Dopo il pasto, il Signore rivolge a Pietro la triplice domanda sull’amore. Il Signore si sente ripetere da Pietro per tre volte che lo ama.
Pensiamo a questo momento: cosa avrà sperimentato Pietro? Lui che ha vissuto il fallimento, il dolore per aver rinnegato e abbandonato il Maestro, ora riceve di nuovo fiducia ed è riconfermato nel suo mandato. Il suo peccato non ha l’ultima parola. Il Signore, quando Pietro gli risponde ”Ti amo”, soggiunge subito “pasci le mie pecorelle”.
Questa domanda il Signore la rivolge oggi, anche a ciascuno di noi: “Tu, mi ami?”.
Sappiamo però che l’amore a Cristo è strettamente legato all’amore per i fratelli: “Nessuno può dire di amare Dio che non vede se non ama il fratello che vede”, dirà S.Giovanni.
Cosa vuol dire questo in concreto? Amare è un lavoro.
L’amore si nutre di bellezza, di attenzione, di delicatezza: un sorriso, un abbraccio, ascoltare ed essere ascoltati, dire e lasciarsi dire. L’amore, per essere vivo e per crescere sempre più, come dice Papa Francesco, deve cibarsi quotidianamente di queste tre parole: “permesso, grazie, scusa”. Tre parole banali, però fondamentali. È così con Dio e tra di noi: abbiamo bisogno di perdonare ed essere perdonati, abbiamo bisogno di riconoscere l’altro ed essere a nostra volta riconosciuti-ognuno nella sua unicità. Abbiamo bisogno della vicinanza, e nello stesso tempo abbiamo bisogno dei nostri spazi per cui l’altro ci dica: “Posso?”.
Non è facile, è un lungo cammino di conversione quotidiana, a volte doloroso, però dobbiamo credere che è possibile con l’aiuto della Grazia, perché il nostro cuore è fatto per amare Dio e il prossimo. Questa è la felicità: amare ed essere amati.
Sr M. Benedetta
pubblicato sulla Gazzetta d'Asti
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