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1 maggio 2020 - venerdì della III settimana di Pasqua

Immagine del redattore: Comunità Monastero AdoratriciComunità Monastero Adoratrici

Aggiornamento: 22 mag 2020

San Giuseppe lavoratore, che, falegname di Nazareth, provvide con il suo lavoro alle necessità di Maria e Gesù e iniziò il Figlio di Dio al lavoro tra gli uomini. Perciò, nel giorno in cui in molte parti della terra si celebra la festa del lavoro, i lavoratori cristiani lo venerano come esempio e patrono.


Quando uomini e donne, per procurare il sostentamento a sé e alla famiglia, esercitano il proprio lavoro così da servire la società, possono giustamente pensare che con la loro attività prolungano l’opera del Creatore, provvedono al benessere dei fratelli e concorrono con il personale contributo a compiere il disegno divino nella storia. I cristiani pensano che quanto gli uomini hanno prodotto con il loro ingegno e forza non si oppone alla potenza di Dio, né che la creatura razionale sia quasi rivale del Creatore.


 

Mt 13, 54-58

Dal Vangelo secondo Matteo


In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.

Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

Parola del Signore.


Non è costui il figlio del falegname?

È cosa buona e giusta far memoria del nostro caro San Giuseppe lavoratore.

Si può dire di lui che fu uomo fedele e ammirevole nella sua vita laboriosa e per questo Dio lo fece signore della sua casa e gli affidò i beni più cari: Gesù e Maria.

Giuseppe non fu uomo di molte parole, o litigioso, ambizioso, come noi oggi. Nella sua attività di falegname, avrà lavorato con olio di gomito, per la gioia e il sostentamento della sua famiglia. Questo è certo: ha saputo dare il meglio di sé in ogni campo. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa buona e il suo nome riecheggia ancora nella Chiesa e nei cuori dei suoi fedeli.

Ma, nella crisi del mondo del lavoro e della famiglia, S. Giuseppe che cosa ci può insegnare?

A me sembra che Dio non sia un distributore automatico. Ciascuno di noi è chiamato, nel suo piccolo, a costruire un mondo migliore, sotto lo sguardo di Dio, come ha fatto S. Giuseppe.

Il Cottolengo diceva ai suoi figli: «La preghiera è il primo e più importante lavoro della Piccola Casa».

Se c’è questo nel nostro cuore, non possiamo vivere un rapporto con Dio come “dare e avere”.

Giuseppe ha dato tutto se stesso a Dio.

Preghiamo, cari lettori, e forse il Signore ci donerà una briciola della sua santità.

Sr M. Margherita

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